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39° CONGRESSO ANMDO 25-26-27 settembre 2013 – ROMA

Pubblicato da admin | Pubblicato in Idee | Pubblicato il 29-09-2013

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IL CONGRESSO ANMDO SI E’ CONCLUSO.

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LA PARTECIPAZIONE DEGLI OPERATORI HA SUPERATO TUTTE LE ASPETTATIVE PREVISIONALI.

NELL’AMBITO DI QUESTA IMPORTANTE INIZIATIVA, IL PRESIDENTE DE “IL CENACOLO DELLE IDEE” PROF. GIANFRANCO MORRONE HA PRESENTATO, NELLA PRESTIGIOSA SEDE DELLA “ARA PACIS” IN ROMA, IL LIBRO DI LUCIA QUAGLINO, ALBERTO MINGARDI E GABRIELE PELISSERO, DAL TITOLO “LA SPESA SANITARIA ITALIANA, QUEL CHE SI VEDE, QUEL CHE NON SI VEDE”.

L’IMPORTANTE RICERCA E’ STATA ILLUSTRATA DAL PROF. PELISSERO

(di seguito alcune foto significative dell’evento e una breve recensione del libro a cura del Prof. Pelissero)

“La spesa sanitaria italiana. Quel che si vede, quel che non si vede” è un agile libro scritto da Lucia Quaglino e Alberto Mingardi (rispettivamente, fellow e Direttore Generale dell’Istituto Bruno Leoni) e da Gabriele Pelissero (presidente nazionale Aiop).
Il volume, attraverso un confronto internazionale, mira a fornire una visione d’insieme dei sistemi sanitari europei, con uno sguardo critico sulle dinamiche di spesa e i livelli di offerta: tale analisi è finalizzata a capire quanto l’attuale modello di gestione del Sistema Sanitario Nazionale (Ssn) sia ancora sostenibile e come riformarlo.
Rispetto ai Paesi dell’Unione Europea, dell’Eurozona e dell’Ocse, l’Italia non sembra avere una spesa sanitaria – in proporzione al Pil – eccessivamente alta, anche grazie alle politiche di contenimento degli anni Novanta. Nel 2010 la spesa sanitaria italiana era infatti pari al 9,3 per cento del Pil, in linea con il valore medio dei Paesi Ocse (8,9 per cento), dell’Europa a 27 Paesi (9 per cento) e dei Paesi dell’Eurozona (9,6 per cento).
Tuttavia, l’analisi evidenzia che, sebbene la spesa sanitaria pubblica nel nostro paese non sia anomala dal punto di vista quantitativo, lo è da quello qualitativo. Il nostro paese non è efficiente né riguardo al livello di spesa in termini assoluti, né con riferimento all’utilizzo delle risorse. Piuttosto, come sottolinea Pelissero, «il problema italiano non è quello di una spesa sanitaria eccessiva, anzi è invece quello di una spesa sanitaria più che moderata in uno Stato con una spesa pubblica complessiva eccessiva».
Il sistema sanitario italiano, quindi, non richiede un taglio della spesa sanitaria, ma che quest’ultima sia resa più virtuosa e ordinata.
A tal fine, gli autori proseguono con l’esaminare la composizione e la qualità della spesa: dall’analisi emerge che le tendenze di lungo termine potrebbero far emergere delle criticità patologiche. Infatti, si prevede che i livelli di spesa crescano fino al punto da diventare insostenibili, considerata la precarietà delle finanze pubbliche.
Secondo gli autori, le principali inefficienze vanno ricondotte a fattori strutturali: innanzitutto, vi è una forte disuguaglianza nel consumo delle risorse, concentrato sui cittadini con malattie più gravi e che hanno bisogno di cure costanti. Il 40 per cento dei cittadini, invece, non ne usufruisce, perché non ne ha bisogno o perché necessita di prestazioni – quali l’odontoiatria – che il sistema sanitario pubblico eroga solo in parte. Altri preferiscono rivolgersi a fornitori privati.
La rete di ospedali di diritto privato in Italia risulta oggi rilevante: a fronte del 14,4 per cento della spesa pubblica ospedaliera, essa fornisce il 26,9 per cento delle giornate di degenza complessive e il 24,1 per cento di tutti i ricoveri. Il ruolo del privato non è affatto residuale, sia in termini qualitativi che quantitativi, in quanto è in grado di fornire una quantità maggiore di prestazioni rispetto al pubblico a costi contenuti. L’ospitalità privata ha quindi un vero e proprio effetto “calmiere” sulle spese.
Ciononostante, le sue potenzialità non sono ancora sfruttate al massimo: persistono, infatti, alcuni elementi distorsivi a causa dei quali vi è una disparità di trattamento tra pubblico e privato. In particolare, il motivo principale è riconducibile alla disapplicazione del principio del pagamento a prestazione per l’attività ospedaliera e specialistica ambulatoriale, sia nel settore pubblico che in quello privato, previsto dalla riforma Amato. Senza tale meccanismo di finanziamento non è possibile incentivare gli erogatori verso una maggiore efficienza e, quindi, stimolare un meccanismo competitivo virtuoso verso una più virtuosa gestione dei bilanci e un miglioramento della qualità delle cure fornite.
Tra le altre criticità strutturali, si registrano gli elevati disavanzi a livello regionale. Le Regioni tendono infatti a sottostimare il fabbisogno per contenere la spesa effettiva. Lo scostamento tra quanto previsto e quanto realmente speso si riflette poi nei deficit delle Regioni, coperti successivamente dal Fondo sanitario nazionale. In particolare, tre sole Regioni (Lazio, Campania e Sicilia), hanno prodotto il 69 per cento del disavanzo cumulato nel periodo 2001-2010. Le Regioni (Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Sicilia e Puglia) che continuano a registrare risultati di bilancio negativi hanno contribuito per l’86,4 per cento del disavanzo complessivo.
Sono otto le Regioni che fin dal 2007 registrano risultati positivi: Lombardia, Toscana, Umbria, Marche, la Provincia autonoma di Bolzano, la Regione Friuli Venezia Giulia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Dal 2010 si è aggiunta anche la Calabria. Alcune di queste (Piemonte, Emilia-Romagna e Calabria) hanno però dovuto ricorrere a un aumento delle entrate fiscali per ottenere tali risultati, e non sono intervenute invece sulle inefficienze.
I risultati peggiori si registrano al Sud, anche per quanto riguarda il livello di qualità del servizio offerto e delle prestazioni erogate. Si tratta, peraltro, di un divario, quello tra il Mezzogiorno e il Nord, in costante aumento dalla fine degli anni Novanta.
Si osserva inoltre uno scostamento tra la spesa e il livello delle prestazioni offerte: alcune Regioni, quindi, spendono molto, e rendono in cambio un servizio di bassa qualità. Molte risorse vengono sprecate.
Si innesca così un circolo vizioso di scarsa capacità di controllo delle spese e inadeguato livello del servizio, che tende a protrarsi nel tempo e a ampliare le disparità regionali.
Un altro modo di guardare al problema è tener conto della percezione del servizio, in un settore strategico come quello sanitario: da questa prospettiva, emergono criticità sia rispetto alla qualità percepita, che rispetto al rapporto tra versamenti effettuati e benefici ricevuti, a causa – secondo i cittadini – di sprechi e di una gestione poco imprenditoriale e ancora troppo politicizzata. In particolare, gli italiani lamentano arretratezza tecnologica e scarsa trasparenza nella qualità e organizzazione del servizio. Inoltre, quasi la metà della popolazione teme di non poter ricevere cure adeguate e il 37 per cento considera gli altri sistemi sanitari migliori.
Gli sprechi, una gestione poco imprenditoriale e la scarsa concorrenza sono dunque i principali mali che colpiscono che il sistema sanitario italiano.
Ciò che, quindi, si vede, è il livello di spesa sanitaria, in linea con la media delle aree Euro e Ocse; quello che invece non si vede è il relativo sistema di finanziamento, inadeguato a tener conto dell’evoluzione della domanda, dei cambiamenti dei suoi bisogni e delle nuove tecnologie, soprattutto nel momento in cui si guardi alle sue probabili evoluzioni future.
È dunque evidente che emergono potenziali e importanti margini di risparmio ed efficientamento, che richiedono nuovi interventi, ben più ampi dei soli provvedimenti di finanza pubblica.
I capitoli conclusivi del libro si concentrano proprio sulle possibili misure per risolvere questi problemi strutturali. Il concetto di “spesa aggredibile” (intesa quale spesa “rivedibile”), attorno al quale ruota la spending review predisposta dal Governo Monti è, in realtà, inadeguato.
La spending review prevedeva un taglio pari a 14.250 milioni di euro nel triennio 2012-2014: tuttavia, le giustificazioni di tagli così drastici si basano su un confronto tra funzioni (ordine pubblico e sicurezza, istruzione, difesa ecc.) molto diverse tra loro e, quindi, difficilmente comparabili.
Per quanto riguarda la struttura della spesa aggredibile, la componente di maggior rilievo è costituita dall’acquisto di beni e servizi delle aziende sanitarie e ospedaliere. È quindi dagli acquisti delle aziende sanitarie e ospedaliere che dovrebbe partire la riduzione delle spese.
Questo potrebbe però creare effetti distorsivi: si tratta, infatti, di tagli lineari che, in quanto tali, non consentono di modulare  la spesa sanitaria in base alle specificità dei diversi sistemi sanitari regionali. Il rischio è che, a rimetterci, saranno soprattutto le Regioni migliori.
Inoltre, se le Regioni non volessero o potessero tagliare i costi di beni e servizi, bisognerebbe diminuire i volumi degli acquisti da parte delle aziende pubbliche, con conseguente pericolo di scadimento della qualità dei servizi; oppure dovrebbero ridurre i fondi per i privati, riducendo così le prestazioni e facendo aumentare le liste di attesa.
Un ultimo elemento distorsivo è rappresentato dallo spostamento della domanda dagli erogatori privati, pagati a tariffa, agli erogatori pubblici, pagati invece a costi. In tal caso, gli erogatori pubblici già in deficit aumenterebbero il loro deficit.
Il percorso seguito per la spending review non consente quindi di creare un modello di gestione/finanziamento sano, flessibile, che consenta a una pluralità di operatori di confrontarsi e competere tra loro, in modo da garantire la sostenibilità del sistema sanitario anche nel lungo periodo.
Anzi, il potenziale pericolo legato a tagli così drastici è quello di un sottofinanziamento del sistema, a cui seguirebbe uno scadimento del servizio e incapacità di adeguarsi all’evoluzione tecnologica, con il rischio di farlo cadere in una condizione permanente di sottosviluppo e di incentivare una fuga dei pazienti verso altri paesi.
L’obiettivo della riforma proposta dai tre autori è quello di generare risparmi che possano essere reinvestiti nell’offerta di prestazioni sanitarie, per migliorarne la qualità.
Nell’ultimo capitolo vengono presentati alcuni suggerimenti, ispirati alla riforma Amato degli anni Novanta, finalizzati ad andare oltre quanto finora fatto. Tuttavia, la riforma non fu mai completamente attuata.
Pur nel rispetto dei principi di universalità e solidarietà del finanziamento, la riforma disegnava un sistema che consentisse di superare il modello di monopolio pubblico nella fornitura ed erogazione di servizi sanitari, finanziati tramite il pagamento a piè di lista, indipendentemente dalla quantità e qualità dei servizi forniti, con cui si dava origine a sprechi e inefficienze a spese del bilancio dello Stato.
L’innovazione della proposta Amato consisteva nell’introdurre degli elementi di concorrenzialità nel servizio e la parità di trattamento tra pubblico e privato: a tal fine, sia gli erogatori di diritto pubblico che quelli di diritto privato venivano assoggettati all’accreditamento, necessario a verificare e garantire il rispetto dei requisiti necessari per fornire le prestazioni sanitarie. Grazie al meccanismo competitivo e alla libertà di scelta conferito ai pazienti, si rendeva il servizio flessibile e adattabile alle esigenze mutevoli della domanda, superando così il modello centralistico.
Gli erogatori di diritto pubblico avrebbero dovuto trasformarsi in senso aziendalistico, con modalità organizzative e gestionali tipici delle vere aziende: le Unità sanitarie locali sarebbero diventate Aziende sanitarie locali, mentre le strutture ospedaliere si sarebbero trasformate in Aziende ospedaliere.
Ma la novità di maggior rilevo era rappresentata dal principio del pagamento a prestazione per tutti gli operatori.
Tuttavia tale riforma fu interrotta ben presto, e furono presto ripristinati modelli centralistici non competitivi.
Riprendendo la proposta del governo Amato, i suggerimenti di Quaglino, Mingardi e Pelissero mettono al centro il metodo di finanziamento, nel rispetto dei principi di solidarietà e responsabilità, per impedire sprechi ed evitare che i deficit debbano essere ripianati dalle Regioni virtuose. Si prevede quindi l’applicazione del principio di pagamento a prestazione per tutti e non solo per i privati; la promozione della qualità del servizio e la libertà di scelta dei consumatori, tramite la mobilità sanitaria; la ristrutturazione della rete ospedaliera, sia sotto il profilo tecnologico che edilizio; la creazione di un’agenzia di vigilanza e controllo indipendente e trasparente.
In caso contrario, si rischia che la mancanza di copertura pubblica richieda una riduzione dell’ambito di copertura offerto dal Ssn, con conseguente ridefinizione dei Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) ed esclusione dal Ssn di una fascia di popolazione oltre un certo livello di reddito, con una corrispondente diminuzione del carico fiscale per compensare la riduzione dei servizi offerti.
A oggi, quindi, ci troviamo di fronte a una scelta politica tra l’adeguamento contabile del sistema, che può ottenersi solo con tagli lineari, oppure una serie di interventi più precisi per individuare, e rimuovere, le sacche di inefficienza, rendere il sistema sanitario sostenibile nel lungo periodo e permettere di investire le risorse oggi sprecate in un miglioramento delle prestazioni offerte.




INVITO – 39° CONGRESSO ANMDO 25 settembre 2013

Pubblicato da admin | Pubblicato in Idee | Pubblicato il 06-09-2013

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